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Il Colonnello  Carlo Calcagni

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RIFERIMENTI  INTERNAZIONALI SULL'URANIO IMPOVERITO (DU).
Gli americani sapevano tutto fin dal 1992. Solo l'Italia continuava e continua ad essere scettica sugli effetti dannosi, con un approccio controcorrente rispetto alla maggior parte dei Paesi della Nato. Fin dall'inizio, almeno per quanto noto, addirittura senza emanare direttive sul problema.
Solo nel novembre 1999 una prima circolare della Scuola NBC delle FFAA italiane nella quale si faceva riferimento alla pericolosità del DU, pur continuando in alcuni settori istituzionali a mettere in discussione gli effetti dannosi per la salute. Una sorta di autotutela che nel corso degli anni ha portato a rimbalzare il problema fra varie Commissioni parlamentari, sostenendo costi elevati e senza giungere a conclusioni certe, inequivocabili e concorrenti, nonostante che nel frattempo i tribunali italiani emettevano sentenze a favore dei danneggiati. L'ultima recentissima depositata il 5 marzo 2015 (1307/2010 del R.G.) nella quale in sintesi il Giudice sottoscrive “l'inequivoca certezza” del nesso di causalità tra esposizione alla sostanza tossica e la malattia insorte nei militari. Una conclusione raggiunta dal collegio giudicante avvalendosi del parere di esperti nazionali e facendo riferimento a documenti internazionali a cui si è fatto cenno in precedenza.
Si rimane, quindi, perplessi di fronte al tentativo istituzionale di non riconoscere gli effetti dannosi del DU ed all'insistenza nel riproporre continuamente Commissioni parlamentari che affermano tutto ed il contrario di tutto, forse per non deludere alcuni vertici politici.

Il dott. Montanari scrive:
Ormai è passata più o meno una decina d'anni da quando, per puro caso, cercando materiale scientifico militare capitai su un documento dell'esercito americano. Erano 21 pagine risalenti al novembre 1978 compilate dall'Air Force Armament Laboratory e si riferivano al progetto 06CD0101 svoltosi tra l'ottobre 1977 e l'ottobre 1978 alla base militare di Eglin in Florida.
Stando al documento, in quel centro erano stati sparati proiettili allora sperimentali all'uranio impoverito e se ne erano raccolte le polveri fini ed ultrafini generate dal fenomeno ad alta temperatura. Le fotografie di microscopia elettronica che corredavano il testo erano del tutto analoghe alle nostre di molti anni più tardi ed erano inequivocabili: da quegli impatti si generavano particelle inorganiche piccolissime che gli autori del testo, dopo aver descritto il comportamento in atmosfera del particolato, sospettavano chiaramente essere molto pericolose per la salute umana.
Io non sono un militare e non so come funzioni la macchina interna, ma mi pare quanto meno curioso che quel documento non sia arrivato sui tavoli italiani. Dopotutto siamo alleati degli USA e, ancora dopotutto, quel documento io non l'ho trovato scassinando una cassaforte o insinuandomi in un computer supersegreto ma semplicemente cercando su Internet da casa mia.
Chiunque abbia un minimo, ma davvero un minimo, di preparazione tecnica si sarebbe reso conto dell'aggressività di quel tipo di armamento e, se proprio lo si voleva usare in barba al fatto che quella roba permane nell'ambiente per omnia saecula saeculorum, viaggia per distanze enormi e aggredisce popolazioni lontane dalla guerra nel tempo, nello spazio e nel coinvolgimento come nazione, avrebbe quanto meno dotato le proprie truppe di strumenti di protezione personale idonei a non fare inalare le polveri. Era davvero il minimo.
Invece, almeno per i nostri soldati, non fu così. Noi andavamo alla guerra o, se si preferisce, in missione di pace, totalmente scoperti e i nostri ragazzi respiravano giocondamente quella roba. Impossibile che poi non si ammalassero e, puntuale, la malattia e in non pochi casi la morte sono arrivate.
Ora, spostandoci di nuovo, e stavolta in laboratorio, da anni non esistono più dubbi scientifici. Noi cominciammo a vederlo all'inizio degli anni novanta e lo vediamo nei casi, casi militari o civili che siano, che analizziamo: quelle polveri sono terribili.

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